- Ricomincio da qui -
“Siccome la vita è un tessuto continuo, siccome qualsiasi inizio è arbitrario, allora è perfettamente legittimo di cominciare la narrazione in medias res, in un momento qualsiasi.”
Italo Calvino, Lezioni americane
06 Maggio 2022
Vi ricordate la pippa dell’ultimo post sull’essere in divenire? Non contenta provo ad andare un po’ più a fondo.
Se l’immaginazione è il movimento del pensiero creativo che si muove verso l’immagine*, che è altro da se, io disegno immagini con attinenza al visibile immaginandolo nel suo farsi. Costruisco con le linee lo spazio e la realtà in cui sono immersa e questo fare è il mio linguaggio, inteso come modo per dire, enunciare.
Mi isolo, mi barrico dentro.
Dentro quel pensiero, che è l’unico possibile, ma che mi mantiene distante.
Cerco così continuamente momenti di sospensione dallo scorrere continuo.
Era l’evento un tempo, una festa, una t.a.z., lo è ancora adesso forse, ma in modo molto meno corale. La felpa col cappuccio la porto ancora e sto a mio agio sotto cassa, ma sono sola e le dimensioni dei decibel di gran lunga ridotte.
Molto del mio lavoro ruota intorno a questi stati di sospensione, che sia l’appartarsi dentro una dimensione immaginativa attraverso il disegno o la creazione di reali momenti d’interruzione nella tessitura spaziale e pittorica. Una sorta di epochè.
Quando creo gli intarsi la trama della materia s’interrompe e si smaglia creando delle aperture. Spazi vuoti si generano, mutano e si adagiano su margini sinuosi, come foglie controluce. Quando dipingo se ci sono figure queste galleggiano sfocate in fondi accecanti e incerti, oppure il paesaggio vibra di striature e si confonde con l’aria. Pennellata dopo pennellata cancello e riscrivo la figura di un pensiero di per sé invisibile.
E se il vuoto è parente del caos in quanto informe, e il caos è la differenza incalcolabile tra un evento e un’altro, cioè lo iato e l’impronunciabile*, forse è proprio questo quello che tento di dire senza mai riuscirci.
La questione del passaggio dal caos o dal vuoto, come vogliamo chiamarlo, allo spazio e alla materia, è diletto e condanna per noi pittori.
Se il reale è un caosmo, ossia un continuo andirivieni tra il caos e l’ordine, il soggetto, cioè la superficie di ricettività di questo andirivieni*, non può che essere esso stesso una forma che si forma e deforma continuamente. (Giustificazione? Si)
Dunque eccomi. Intimamente. Distaccatamente.
In cerca di bolle d’aria su cui navigare, isole da cui guardare il mio piccolo mondo che sarà senza dubbio diverso dal tuo.
Senza mai sapere se sia vuoto o pieno quel lembo dove poggio i piedi, forse per il sommovimento continuo dei margini e per quell’effetto di venir avanti o indietro della lacuna o dell’opera a seconda di come la si guardi.
Ed io, con gli anni, ci vedo sempre meno. Si sfocano gli eventi passati ma anche il presente che ho qui davanti non è poi così nitido.
Note:
Nel corsivo parole prese in prestito disordinatamente da Davide Tarizzo, La metafisica del caos, prefazione a La piega, Gilles Deleuze, Piccola Biblioteca Enaudi.
Sempre più chiare le tue forme immaginate